Domande Frequenti

  • All’inizio parlavate di “restaurazione”. Ora è “riconciliazione”. Che cosa è cambiato?

    Non è cambiato proprio nulla; o meglio, c’è stata una maturazione e un approfondimento del nostro pensiero, senza però negare la visione con la quale siamo partiti più di 25 anni fa. La nostra visione e il nostro obiettivo rimane quella di una “restaurazione” (ma forse sarebbe meglio usare un termine come “recupero”) di tutta la pienezza del cristianesimo secondo il Nuovo Testamento. Quindi, neanche “soltanto” del livello di vita cristiana descritto negli Atti degli Apostoli e nel resto del Nuovo Testamento (non dimentichiamo che c’erano grossi problemi in una chiesa come Corinto), ma di tutta la “pienezza” prospettata nelle sue lettere dall’apostolo Paolo per la fine dei tempi.
    Una parte però di questo “recupero” è indubbiamente quella dell’unità tra i credenti. Sin dall’inizio, la nostra visione è stata quella di una chiesa fondata non su organizzazioni e strutture, ma su rapporti di amore e di accoglienza reciproca; e questo come base dell’unità sia nella comunità locale, sia a livello più esteso. Nelle nostre comunità convivono, sino ad oggi, convinzioni dottrinali differenti su diversi punti (come dice la vecchia massima, “nelle cose essenziali, unità; nelle cose secondarie, libertà; in tutte le cose, carità”), perché il fondamento su cui stiamo insieme e lavoriamo insieme è quella della Signoria di Gesù Cristo. Riconosciamo inoltre che fino ad oggi tutti noi “conosciamo in parte” (1 Corinzi 13:9), per cui occorre una certa umiltà prima di erigere le nostre letture ed interpretazioni della Bibbia a verità assolute.
    Quando dunque si è trattato di dare un nome ufficiale alla nostra realtà (necessità imposta dai rapporti con la società e con lo Stato: in effetti preferiamo pensare a noi stessi semplicemente come “cristiani”), abbiamo scelto, dopo lunga riflessione, di chiamarci “Chiesa Evangelica della Riconciliazione”. Infatti la riconciliazione è al cuore del Vangelo, e anche della nostra spiritualità: la riconciliazione dell’uomo con Dio, prima, e come necessaria conseguenza, poi, anche la riconciliazione tra gli uomini: “chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1° Giovanni 4:20). E questi “fratelli” non sono soltanto quelli della nostra piccola chiesa, ma tutti i credenti in Cristo, anche quelli che la pensano diversamente da noi.
    Continuiamo però a credere anche che per recuperare una unità completa e visibile della chiesa, la strada dovrà passare necessariamente attraverso il recupero di tutti i ministeri dati da Cristo alla Chiesa, e in primo luogo degli apostoli, che costituiscono il legame di unità tra realtà locali. Non sappiamo come Dio realizzerà il Suo progetto per avere alla fine una chiesa “gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti” (Efesini 5:27). Ma siamo certi che lo farà! E vogliamo realizzare fedelmente la piccola parte in questo grande progetto che Lui ci ha chiamati a fare.

  • Qual è la verità sui vostri rapporti con il cattolicesimo?

    Piuttosto che di “rapporti con il cattolicesimo”, sarebbe più corretto parlare di “rapporti con cattolici”. Infatti non abbiamo nessun rapporto ufficiale con la Chiesa Cattolica Romana come istituzione; abbiamo invece rapporti di amicizia, di comunione e di dialogo con individui e con movimenti all’interno del cattolicesimo.
    La nostra convinzione è che nella Chiesa Cattolica – come d’altronde in tutte le altre chiese di cui non condividiamo le dottrine, le prassi o l’impostazione – ci sono dei veri cristiani, dei figli nati da Dio attraverso la fede. Amare questi fratelli e avere comunione spirituale con loro non è una scelta, è un comando del Signore Gesù: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri” (Giovanni 13:34)!
    Le tradizioni e la disciplina della Chiesa Cattolica non consentono che questa comunione si completa; per esempio, è vietato loro condividere con noi l’Eucarestia. Tuttavia siamo stati benedetti e arricchiti dalla fede e dall’amore per il Signore Gesù Cristo di questi nostri fratelli; mentre il confronto dottrinale e teologico con le loro convinzioni, da una parte ha confermato e rafforzato in noi le nostre convinzioni e la nostra identità evangelica e pentecostale, ma dall’altra ci ha aiutati a mettere in discussione alcune tradizione che niente hanno a che fare con la Parola di Dio.
    Noi siamo evangelici (lo dice il nome stesso della nostra chiesa), ci identifichiamo sostanzialmente con le posizioni dell’Alleanza Evangelica Mondiale, ma non ce la sentiamo più di definirci in termini negativi – di quello che non siamo o non crediamo – ma piuttosto positivi. Riteniamo l’ostilità e l’astio espresso da gran parte del mondo evangelico (almeno nei paesi a maggioranza cattolica) verso la religione dominante un pericoloso virus da cui siamo contenti di essere stati liberati.
  • Riconoscere un uomo come “apostolo” non vuol dire forse tornare a una nuova forma di papato?

    No; prima perché l’autorità apostolica non è un’autorità giuridica e formale ma morale e spirituale, che dipende dal carattere e dal carisma dell’uomo così riconosciuto. E poi, perché l’apostolo non è uno solo (anche se attualmente ce n’è uno solo nel nostro movimento); ce ne sono molti, e l’apostolo Traettino è in relazione fraterna con altri apostoli in diverse nazioni, il che serve come garanzia e contrappeso. Infatti è stato uno dei principali promotori della International Apostolic Fellowship, che raggruppa parecchi di questi apostoli per la comunione, la preghiera e il confronto su temi teologici e pratici connessi con il loro ministero.
  • Come vi ponete in relazione ai “matrimoni misti” (tra credenti e non credenti, o tra cristiani di confessioni diverse)?

    A chi crede in Cristo la Scrittura dice con grande chiarezza: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre?” (2 Corinzi 6:14). Questo brano ha certamente un’applicazione più vasta (per esempio, alle società d’affari), ma la sua prima applicazione è certamente al matrimonio. In altre parole, il credente che sposa un non credente – uno che non fa parte del regno di Dio – pecca contro Dio, e fa anche un grave danno a se stesso. Infatti la scelta di seguire Cristo non è solo un fatto “religioso” ma implica tutta la vita: i valori morali, gli obiettivi fondamentali della vita, come si spendono tempo e soldi, ecc. ecc. Scegliere di sposare una persona che non condivide questi valori e obiettivi vuol dire affrontare un’infinità di conflitti. E soprattutto, una vita di coppia priva di quella dimensione preziosa che è la “comunione di spirito”, e che è anche un “collante” per unire la coppia, importante oggi più che mai.
    Inoltre i valori che si inculcheranno nei figli di un tale matrimonio andranno inevitabilmente in due direzioni diverse. Poiché i figli sono una sacra amministrazione che si riceve da Dio, accingersi a mettere al mondo dei figli che – stando all’esperienza oltre che alla logica della situazione – con maggiore probabilità si perderanno anziché salvarsi, è una responsabilità che nessun credente, in coscienza, vorrà assumersi.
    Per quel che riguarda invece il “matrimonio misto” tra cristiani “nati di nuovo” ma di confessioni diverse, la Bibbia ovviamente non lo vieta (anche perché la situazione di una chiesa divisa non è prevista!). Tuttavia comporta diverse difficoltà e disagi, che diventano più acute in proporzione con le divergenze tra le chiese in questione. Dove si frequenta la domenica: ognuno nella propria chiesa, o a turno? A chi spetta la cura pastorale della famiglia? e se i pastori danno consigli contrastanti…? Quando arriveranno dei figli, si dovranno battezzare da piccoli, o aspettare che abbiano creduto personalmente? (questione che si presenta non solo nella chiesa cattolica romana, ma anche con altre chiese pedobattiste quali la valdo-metodista). E così via. È dunque una situazione disagevole, che anche le poche esperienze vissute nell’ambito della nostra esperienza pastorale tendono a sconsigliare.
  • Molte chiese evangeliche oggi ordinano le donne come pastore, o comunque tendono ad abolire ogni differenziazione di ruoli tra l’uomo e la donna. Qual è la vostra convinzione al riguardo?

    Su quest’argomento sono stati scritti interi libri, per cui qui è possibile qui dare solo qualche accenno. Brevemente, la nostra ferma convinzione è che l’uomo e la donna hanno uguale valore e dignità agli occhi di Dio (come illustra anche il grande rispetto e stima con cui le trattava il Signore Gesù Cristo, in contrasto con i costumi di allora), ma che Dio ha assegnato loro ruoli diversi, sia nella famiglia, sia nella chiesa e nella società; e che queste differenze sono radicate nella natura con cui Lui ci ha creati, non solo nelle varietà delle culture umane. Così nella chiesa crediamo che il ministero (servizio) e il sacerdozio cristiano appartengono a tutti i credenti, maschi e femmine, ma che il governo della chiesa è riservato a quei uomini (maschi) che lo Spirito Santo sceglie. Gesù stesso – che contava parecchie donne tra i suoi discepoli (vedi Luca 8:1-3, 10:38-42) – scelse tuttavia dodici uomini, e nessuna donna, come gli apostoli (leaders) della nascente chiesa.
    La Bibbia insegna la subordinazione (non l’inferiorità) della moglie al marito nel matrimonio (Efesini 5:22-24, 1° Pietro 3:1-5); e anche nella chiesa insegna una diversità nei loro ruoli. Queste differenze sono intese a riflettere quelle all’interno della Trinità stessa, in cui il Figlio e lo Spirito Santo sono subordinati al Padre, seppure di uguale sostanza e dignità (1° Corinzi 11:3; Giovanni 5:18-19, 14:28). L’apostolo Paolo, nel suo insegnamento al riguardo, radica la subordinazione della donna non in considerazioni tratte dalla cultura contemporanea, ma al contrario, nelle intenzioni originali di Dio nella Creazione, prima, e nel fatto della Caduta, poi (1° Timoteo 2:12-14).
    La nostra convinzione, dunque, e la prassi delle nostre chiese, è: “Ministero delle donne, sì; governo femminile, no”. Per un approfondimento, si vedano due articoli da Tempi di Restaurazione: “La donna nella chiesa” e “Il ruolo delle donne nel ministero”.

  • Perché non pregate la Madonna e i santi?

    La risposta più breve è: perché Gesù ci ha insegnato diversamente! Egli dice chiaramente: “Quando preghi… rivolgi la preghiera al Padre tuo… Voi dunque pregate così: «Padre nostro che sei nei cieli…»” (Matteo 6:6,9). La Bibbia dice chiaramente che “c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo” (1° Timoteo 2:5). Infatti come figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo, il Padre stesso ci ama e ha promesso di dare ascolto alla nostra preghiera. È inutile e negativo, dunque, rivolgerci ad altri supposti intermediari quando abbiamo il privilegio di poter andare direttamente dal Capo supremo! Inoltre è molto discutibile se Maria o i santi defunti potrebbero comunque fare qualcosa per aiutarci. Mentre di Gesù la Scrittura dice che “vive sempre per intercedere per noi” (Ebrei 7:25), dei morti in Cristo dice che “si riposano dalle loro fatiche” (Apocalisse 14:13).

  • Qual è la posizione ufficiale della CEdR riguardo alla pena di morte? Si considera volontà santa di Gesù Cristo, come in molte chiese degli USA, oppure come una violenta appropriazione della titolarità di Dio a

    Si parla spesso di "fratelli". Il papa dice che siamo tutti fratelli. Ma è così? Come considerare chi non è cristiano? ', N'Nella Bibbia, che per noi è la fonte ultima e autorevole di verità, l’espressione "fratelli" è usata in diversi modi. Il più frequente (dopo quello letterale) indica "le persone accomunate dall’appartenenza al popolo di Dio", che nell’Antico Testamento sono gli Israeliti, nel Nuovo coloro che, essendo "nati di nuovo" dallo Spirito Santo, sono diventati figli di Dio e quindi fratelli di Gesù Cristo (vedi Giovanni 3:3-6, 1:12-14; Romani 8:29, Ebrei 2:11).
    Anche Gesù usa spesso il termine per indicare i suoi discepoli, "chi fa la volontà di Dio", definendo gli altri "figli del diavolo" (Matteo 12:48-50, Giovanni 8:44). Tuttavia in qualche raro brano sembra che usi la stessa parola per indicare qualsiasi essere umano: è questo il significato, secondo la maggior parte degli studiosi, nel noto brano del "giudizio tra le pecore e le capre" (Matteo 25:31-46).
    Dobbiamo quindi considerare anche chi non è cristiano come "fratello" nel senso di essere aperti ad accoglierlo come persona amata da Dio al pari di noi. Ma non possiamo certamente fare di ogni erba un fascio, abolendo la distinzione radicale che la Parola di Dio traccia tra chi è nato da Dio e chi non lo è: "In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio; come pure chi non ama suo fratello" (1° Giovanni 3:10).

  • Un credente che si suicida perde la salvezza?

    La Parola di Dio tace su quest`argomento e siamo lasciati ai nostri ragionamenti.

    La posizione tradizionale cattolica è che il suicida non può essere salvato. Essendo la vita dono di Dio che nessuno è autorizzato a togliere senza grave motivo, per lo stesso motivo (si ragiona) nessuno è autorizzato a togliersi la propria. A questo si è aggiunto il fatto che il suicida muore necessariamente senza i sacramenti (assoluzione ed estrema unzione), per cui nel cattolicesimo tradizionale i suicidi non potevano essere seppelliti nel cimitero consacrato.

    È evidente che il suicidio è un gesto di disperazione, quindi di mancanza o cedimento della fede in Dio. Tuttavia alla fine bisogna concludere che solo Dio conosce fino in fondo i cuori, e che "Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?" (Gen. 18:25).